Grandi atleti dello Sport (pagina 1)

Questa è la prima pagina che dedico ai grandi campioni dello sport (vedi anche la seconda pagina). Campioni che ci hanno fatto sognare con le loro imprese, ma anche campioni che hanno lasciato un segno indelebile nella storia, al di là dei risultati raggiunti. Ma, fondamentalmente, atleti che sono stati uomini, prima di essere atleti...! (Postato il 5 aprile 2013)

Pietro Paolo Mennea

di D'Auria Giancarlo Evaldo

L'immagine a destra rappresenta il culmine di una carriera straordinaria. Mennea che vince i 200 metri alle Olimpiadi di Mosca 1980 (guarda il video su YouTube, con la storica, indimenticabile telecronaca di Paolo Rosi). Ma l'impresa più grande, secondo me, è lo straordinario record mondiale stabilito nel 1979, quel 19"72 che ha resistito 17 anni a livello mondiale, ma che è tuttora ancora record europeo, dopo 34 anni...! Questa pagina è il ricordo di un campione straordinario, prima uomo e poi atleta. Ma che rappresenta, soprattutto, quella atletica pulita e genuina che spesso, nella storia dello sport, è stata infangata da atleti di tutto il mondo ed in tante, troppe discipline. Le vittorie di Mennea sono frutto di lavoro, allenamenti e sacrifici inimmaginabili. Ed è per questo che sono orgoglioso, come italiano e come meridionale, di ricordare in questa pagina la mitica Freccia del Sud: Pietro Paolo Mennea. (Ingrandisci foto) (Postato il 29 marzo 2013)

Addio Pietro

Pietro Mennea è venuto a mancare stamane a Roma, all'età di 60 anni. Rimarranno però immortali le sue imprese sulle piste d'atletica di tutto il mondo (21 marzo 2013).

Cosa ci lascia Pietro Mennea.
Inarrestabile l'emozione che ha suscitato ovunque la scomparsa della Leggenda di Barletta. Una perdita inestimabile, innanzitutto per i suoi familiari che gli sono sempre stati vicino a cominciare dalla moglie Manuela, ma anche per lo Sport Italiano e Mondiale, per tutti i suoi tifosi che l'hanno seguito nel corso della ventennale carriera agonistica e per i tanti giovani e giovanissimi che lo hanno scoperto e ammirato successivamente. Ne avvertono già la mancanza la sua città d'origine, Barletta, privata del suo simbolo più celebre, e quella d'adozione, Roma, che gli ha dato l'ultimo saluto sabato scorso e che adesso ospita le sue spoglie nel Cimitero Flaminio. Questo lascia Pietro Paolo Mennea, scomparso prematuramente a 60 anni il 21 marzo 2013. Ma anche tanto altro, perché figure come quella del velocista pugliese segnano un'epoca, restano immortali ed entrano di diritto nella Leggenda. Campionissimo da atleta, capace di diventare il migliore grazie alla tenacia negli allenamenti, alla serietà professionale e alla correttezza mostrata sulle piste di tutto il mondo, pur non avendo avuto in dote da madre natura un fisico fuori dalla norma. Basterebbe questo per essere ricordato per sempre come un Grande. Eppure, ed è questa la particolarità di Pietro Mennea rispetto a tanti altri fuoriclasse dello sport, è riuscito ad affermarsi in vari campi anche una volta appese al muro le scarpette chiodate. Ben 4 Lauree conseguite, Avvocato, Commercialista, Docente Universitario, Parlamentare Europeo, scrittore di numerosissime pubblicazioni e l'elenco potrebbe proseguire ancora. Animato da sincera filantropia, dal gennaio 2006 insieme a Manuela Olivieri aveva costituito la Fondazione Pietro Mennea Onlus a sostegno delle persone meno fortunate. Numerosissimi i progetti di beneficenza e solidarietà finanziati nell'arco di questi anni, con un occhio di riguardo rivolto alle malattie neurodegenerative ma anche alla cultura, per diffondere i valori dello sport e promuovere la lotta al doping, un nemico da sempre combattuto con tutte le forze. Quando un "gigante" del genere saluta per sempre, la partecipazione popolare e dei media risulta inevitabilmente vastissima: lo dimostra la presenza massiccia di coloro che hanno testimoniato il proprio dolore e ringraziato commossi Pietro Mennea per tutto quello che è riuscito a fare nella sua vita dentro e fuori le piste di atletica. Specifici dati ci aiutano a capire l'eco che ha avuto la notizia e simbolicamente mostrano il rilievo del personaggio a livello internazionale, con una partecipazione che si è estesa a livello davvero globale, dall'America all'Oceania, diffondendosi in tutta Europa. Su questo sito, il portale ufficiale di Pietro Mennea da pochi mesi online nella nuova veste grafica, giovedì 21 marzo sono state calcolate 30.615 visite. Poi altre 15.000 circa nei giorni immediatamente successivi. Alcune migliaia di contatti anche sul sito della Fondazione Pietro Mennea Onlus. Il post sulla Pagina Ufficiale su Facebook inserito pochissime ore dopo l'arrivo della notizia luttuosa, è stato visualizzato da mezzo milione di persone, con oltre 6.000 condivisioni. Dati inequivocabili che testimoniano la grandezza di Pietro Mennea, una figura carismatica che manca già tanto a tutti. Grazie ancora Pietro, icona intramontabile.

(Fonte: www.pietromennea.it/dettaglinews.asp?idnews=11 - 26 marzo 2013)

 

L'uomo.
Scrutando la figura di Pietro Paolo Mennea, cosa non semplice per l'atipicità che ne contraddistingue l'uomo/atleta, si ha l'impressione di imbattersi in un personaggio appartenente alla leggenda. Sarà per la ritrosia che ha contraddistinto l'atleta (nonché l'uomo) nell'apparire in primo piano, tanto differenziandolo dai campioni "attuali", sarà per quella personalità forgiatasi nel "sud", terra diffidente e di silenzi, cosa certa è che un profilo esatto dello sprinter più veloce e più testardo mai avuto in Italia risulta essere operazione delicata e quanto mai appassionante. La storia di Pietro Mennea sembra caratterizzata da un comun denominatore: tagliare traguardi e proiettarsi alla successiva sfida, considerare ogni successo, piccolo o grande che sia, un semplice punto di partenza anziché d'approdo e per questo è facile capire come un campione del suo calibro smessi i panni della celebrità, riposta la tuta e gli scarpini, abbia potuto (e voluto) continuare a dare importanti contributi seppur in scenari differenti dalle piste d'atletica. Mennea nasce nel 1952 a Barletta, cittadina sull'Adriatico tanto ricca di storia e monumenti quanto avara di opportunità e strutture per i più giovani (ma con una lunga litoranea per allenare futuri campioni). Terzo di cinque figli, papà Salvatore sarto e mamma Vincenza casalinga, frequenta sin da piccolo la palestra della strada, attività ricreativa prediletta dai ragazzini meridionali. Le partite a pallone all'oratorio, le lotte tra amici, le corse improvvisate attorno la Cattedrale sono la normale routine del ragazzino che man mano comincia a mostrare una spiccata attitudine per le sfide. Si pensi alle fughe notturne da casa all'insaputa dei genitori per sfidare e vincere le auto sul corso, sfide oggetto di accesissime scommesse molto spesso finite a botte. Questi gli ingredienti determinanti di una gioventù vissuta all'aperto, ingredienti che forgiano nell'introverso personaggio una personalità tosta, solida, quella che gli permetterà nel corso della vita, non è superfluo ripetere, di andare sempre a capo, di non fermarsi mai, nemmeno quando l'ostacolo sembrerà insormontabile. Per Mennea il momento delle prime scelte, quello in cui l'adolescenza agita con tutti i suoi quesiti e l'irrazionalità difficilmente è domabile, avviene in un periodo particolarmente movimentato, in cui focolai di un '68 irrequieto made in USA serpeggiano in Italia e persino nell'apparente calmo sud, in cui la tensione spaventa una nazione e la propria coscienza a furia di attentati, in cui i ragazzi sognano con i Beatles e Cassius Clay. E' in quei momenti che la fortuna di avere una guida, chi decide al posto tuo, può cambiarti la vita. La figura centrale, ripete sovente Pietro Mennea, è stata il Prof. Autorino, avvocato senza toga, professore di educazione fisica e pigmalione di colui che da lì a breve sarebbe diventato per gli sportivi italiani la "freccia del sud", facendo impazzire un'intera nazione, colmando quel gap atletico mai digerito nei confronti dei "mostri" di colore e del superatleta dell'est (il suo idolo Borzov), sfidando atleti strutturalmente più equipaggiati, forse solo in apparenza, per trionfare. Il prezzo da pagare per un giovanotto pieno di sogni è molto alto: è inevitabile che le "fughe" a Roma con gli amici per "catturare" donne, gli atteggiamenti irrequieti per esser fedeli ad un progetto più utopico che concreto, debbano lasciare il posto in quell'epoca ai sacrifici, alle rinunce. Qua è l'uomo che decide. E' da qui che passa la strada per il successo, "solo dal duro lavoro e dalla dedizione si può costruire una carriera importante" avrebbe spiegato più tardi Primo Nebiolo, figura molto cara e vicina nel corso degli anni a Mennea; Pietro Mennea ha le idee chiarissime. Allora l'avventura scolastica e il diploma da ragioniere, le continue sconfitte nella palestra della scuola contro l'imbattibile amico Pallammolla restano alle spalle, il poco credito avuto dai suoi osservatori, perplessi dalla gracilità fisica del ragazzo, diventano punto di partenza per un modello di vita esclusivamente poggiante su allenamenti senza tregua, dove le festività esistono solo sul calendario e le distrazioni non han ragione di essere. La convinzione nei propri mezzi, un trainer severissimo quale Vittori (ma non si deve dimenticare il prof. Mascolo), la voglia di emergere ed il pugno rivolto al cielo di Tommie Smith rappresentano la spinta decisiva per provare a sognare, per fare di un uomo del sonnecchiante sud un campione. Gli allenamenti lunghi e solitari accompagneranno Mennea per tanti anni, interrotti solo dalle competizioni, dai suoi ritiri e dai suoi rientri testardi e silenziosi. Silenziosi come gli atteggiamenti sovente assunti dall'uomo, un uomo ancora oggi da esplorare in alcune sue sfaccettature, quell'uomo che ha sempre rivendicato un suo spazio accanto al campione, quell'uomo di pochi gesti, di complicità sottili condivise con pochissime persone. Quell'uomo che con maggior morbidità nei confronti del sistema sarebbe stato "socialmente" più considerato, quell'uomo spesso in antitesi con l'esterno per troppa fedeltà a se stesso, poco simpatico ad una parte di stampa che in ogni caso non ha mai potuto ignorarlo ma nemmeno cercato quando c'era da fare chiarezza. Quell'uomo che non è riuscito più a sentire suo un mondo che gli è appartenuto e che ha rappresentato per oltre un decennio. Quell'uomo che continua ancora oggi a battersi, a riproporsi, a polemizzare se è il caso, proprio come quando gareggiava, perché non si diventa campioni se non si è prima uomini.

(Fonte: www.pietromennea.it/uomo.asp - 30 giugno 2012)

 

Gli esordi.
Pochi probabilmente sanno che il più grande velocista italiano incominciò a praticare l'atletica non da velocista ma da marciatore. Ma l'amore fra Mennea e la marcia non durò che 15 giorni, anche perché non era piacevole allenarsi, in mancanza di un qualsiasi impianto adeguato, sulla litoranea di Ponente di Barletta in un ambiente freddo e umido. Più facile, invece, dedicarsi alla velocità soprattutto per il piacere di battersi tra le mura scolastiche con Salvatore Pallammolla, lo studente più veloce della Ragioneria: ed infatti le sfide (sui 50 m, superficie in terra battuta) terminavano troppo spesso con la vittoria di quest'ultimo. Fu il primo successo (dopo molti tentativi...) su Pallammolla che convinse il giovane Mennea a dedicarsi sempre con maggior impegno all'atletica con la maglia della società sportiva Avis Barletta. Spinto dal professor Autorino, iniziò a prepararsi per i 100 m dei Campionati Studenteschi stravinti nella finale di Pisa con un eccellente 10"8. Passato sotto la guida del professor Franco Mascolo, continuò a gareggiare in molte competizioni giovanili vincendo un po’ ovunque, anche ad Ascoli Piceno dove ad assistere alle gare c'era anche l'allenatore della squadra italiana di atletica, Carlo Vittori. Mennea aveva fatto una bella figura sui 300 m e a Mascolo era sembrato opportuno segnalare personalmente a Vittori il ragazzo, per farlo partecipare a qualche raduno collegiale della federazione: ma questi dichiarò che quel ragazzo magrolino più che a correre doveva senz’altro pensare a... mangiare! La stroncatura, che avrebbe demolito un toro, fu invece accettata più o meno di buon grado da Mennea che tornò a Barletta ad allenarsi sempre con maggior impegno continuando a dominare le gare giovanili singolarmente ed insieme ai compagni della staffetta 4x100 dell'Avis: Pallammolla (si, proprio lui...), Acquafredda e Gambatesa. Il 1968 segnò una tappa fondamentale della carriera di Mennea allorquando, in mondovisione, assistette alla vittoria sui 200 m alle Olimpiadi di Città del Messico dell'americano Tommy Smith il quale diventò immediatamente il suo idolo e modello sportivo da imitare. Verso la fine dello stesso anno finalmente Pietro venne ammesso a disputare uno stage al centro federale di Formia (Vittori si era finalmente convinto...) e fu lì che cominciò a conoscere i primi sacrifici imposti dall'attività agonistica poiché fu costretto a passare il capodanno del '69 lontano da casa ed anzi a presentarsi in pista alle 8 del mattino del 1° gennaio! Proprio nel 1969 Mennea rischiò di partecipare, a soli 17 anni, ai campionati europei assoluti di Atene in quanto alle selezioni di Viareggio era stato il migliore; ma, evidentemente, i responsabili della nazionale non se la sentirono di "bruciare" quel ragazzino preferendo dirottarlo nella squadra "B" che doveva gareggiare in Svizzera: Pietro non se la prese più di tanto, anzi fu contento di visitare per la prima volta un paese straniero. L'anno seguente arrivò 5° agli Europei juniores e poi, nel '71 i primi grandi risultati: finalista dei 200 m ai campionati continentali assoluti di Helsinki e bronzo (la prima medaglia importante) nella staffetta 4x100. Nel clan della nazionale "Pieretto", come simpaticamente era soprannominato dai compagni più esperti, venne subito accolto molto cordialmente grazie al suo carattere per nulla da primadonna: anzi lui era (ed è sempre stato) pacato, tranquillo, modestissimo, geloso della sua intimità, sereno e riflessivo. Nel frattempo era stato necessario il definitivo trasferimento a Formia (pur continuando a correre per i colori dell'Avis Barletta) sotto la guida del duro Vittori con il quale avrebbe trascorso lunghi anni insieme, per 350 giorni l'anno, condividendo fatica, difficoltà, gioie e delusioni. Un binomio che, di lì a poco, avrebbe fatto la storia dell'atletica italiana.

(Fonte: www.pietromennea.it/esordi.asp - 30 giugno 2012)

 

Le vittorie.
Le prime Olimpiadi alle quali Mennea aveva partecipato, Monaco 1972, erano terminate in maniera più che soddisfacente con la conquista di un'insperata medaglia di bronzo nei 200 m, dietro il grande Borzov e l'americano Black (guarda qui il video del bronzo di Mennea); in più aveva preso parte anche alla finale della staffetta 4x100: niente male per un ventenne, anche se Pietro vedeva il 3° posto come una piccola delusione perché era giusto puntare sempre e comunque al massimo. Il 1973, invece, era stato un anno difficile. La pubalgia (o più precisamente, l'osteocondrosi della sinfisi pubica) l'aveva tormentato per tutta la stagione impedendogli di dare un seguito ai grandi risultati dell'anno precedente anche se in ogni caso era riuscito ad inanellare alcune buone vittorie ai Mondiali Militari e alle Universiadi. Fortunatamente però le cure (infiltrazioni locali di un antinfiammatorio uniti a tre mesi di stop) abbinate alla sua ferrea volontà avevano avuto il loro benefico effetto e Pietro si era ripresentato sulla scena mondiale desideroso di stupire ancora il mondo dell'atletica...
ROMA '74 (campione d'Europa dei 200 m)
L'appuntamento clou del 1974 erano i Campionati Europei da disputarsi sulla pista in tartan dello Stadio Olimpico di Roma: non si poteva certo deludere il pubblico di casa! La stagione, prima della kermesse europea settembrina, era andata bene per Pietro: aveva conquistato due titoli italiani ai quali avrebbe poi aggiunto quelli delle staffette 4x100 e 4x200 vinti con la maglia della sua nuova società, l'Alco Rieti; inoltre nelle gare internazionali si era sempre battuto pari a pari con i migliori specialisti del mondo, Borzov compreso. Ecco, proprio la sfida con l'amico-rivale sovietico solleticava la fantasia di Mennea: doveva arrivare finalmente l'ora del passaggio di consegne e di prendersi lo scettro di miglior velocista europeo. La prima gara in programma erano i 100 m e qui Borzov dimostrò ancora una volta la sua classe immensa unita ad un'esperienza che il giovane Mennea non poteva ancora avere: presentatosi in condizioni fisiche non ottimali, l'ucraino si risparmio molto durante i turni di qualificazione, nei quali invece Mennea aveva fatto intravedere una migliore "corsa", per poi invece esplodere in tutta la sua potenza nella finale; a dire il vero a Borzov non fu necessario neanche un grossissimo tempo (10"27) per regolare l'avversario, evidentemente ancora ipnotizzato dal mito del suo grande antagonista. Ma la rivincita, per Pietro, non si fece attendere: 3 giorni dopo lo smacco dei 100, c'era subito quella che era ormai diventata la sua gara preferita, i 200 m; l'acciaccato Borzov non vi aveva preso parte, risparmiandosi per la staffetta, ma gli avversari temibili, tedeschi e francesi in primis, non mancavano davvero! Però Mennea questa volta non si lasciò intimorire da niente e da nessuno riuscendo a portare a casa l'agognato oro continentale, il primo grande trionfo della sua carriera: i tedeschi Ommer e Bombach finirono ben distanti (guarda il video della grande vittoria di Roma). A questi allori il barlettano aggiunse anche l'argento della staffetta 4x100 insieme a Guerini, Oliosi e Benedetti: solo il quartetto francese separò gli azzurri dalla vittoria, ma Borzov e soci erano finiti ben dietro.
PRAGA '78 (campione d'Europa dei 100 e 200 m)
Dagli europei di Roma a quelli di Praga accaddero molte cose nella vita sportiva di Mennea, come al solito costellata da vittorie (molte), sconfitte (poche) e... polemiche. Purtroppo una delle poche debàcle era arrivata nell'occasione più importante, le Olimpiadi di Montreal nel 1976; Pietro si era presentato all'appuntamento canadese in precarie condizioni fisiche e psicologiche, anche perché i gravi contrasti fra il suo preparatore atletico Vittori e la Fidal avevano coinvolto in qualche maniera anche lui: non c'era la serenità necessaria per raggiungere grandi risultati. Eppure, nonostante tutto, il podio dei 200 m rimase solo ad un passo (4° posto) nella gara vinta dal giamaicano Don Quarrie, con il quale i conti sarebbero stati regolati a Mosca. Mennea risorse nuovamente dalle proprie ceneri a dispetto dei "gufi" che lo davano già nella parabola discendente della carriera, riprendendo subito a convincere e, soprattutto, a vincere. Probabilmente, però, neanche lui si sarebbe aspettato la fantastica doppietta di Praga: certo, l'oro dei 200 m era chiaramente alla sua portata, ma quello dei 100 andò anche al di là delle sue aspettative (guarda qui il video della vittoria sui 100 m ed il video della vittoria sui 200 m). Quella del 1978 fu un'estate anomala e capricciosa in Cecoslovacchia: freddo e pioggia imperversarono per tutta la durata dei campionati europei, ma neanche il tempo inclemente impedì a Mennea di raggiungere un traguardo fino ad allora toccato da soli 4 atleti (Berger nel '34, Osendarp nel '38, Futterer nel '54 e Borzov nel '71). Il primo oro giunse proprio dalla distanza più breve: paradossalmente il meglio di se Pietro lo diede in batteria, realizzando con 10"19 il nuovo record italiano, mentre in finale fu sufficiente un 10"27 per portarsi a casa la vittoria davanti al tedesco orientale Ray (il vecchio rivale Borzov finì solo all'8° posto); nei 200, invece, fu quasi una passeggiata conclusa con un ottimo 20"16 rispetto al 20"61 del secondo classificato. A Praga Mennea disputò anche le finali di entrambe le staffette per un totale, batterie comprese, di 10 gare in 6 giorni!
CITTÁ DEL MESSICO '79 (Record del mondo dei 200 m)
Mennea, con i risultati fin lì ottenuti, si era già ritagliato una parte importante nella storia dell'atletica italiana e mondiale, ma sapeva di poter ottenere ancor di più, e quel di più erano sicuramente il primato mondiale dei 200 m e l'oro olimpico: nel giro di due stagioni avrebbe agguantato questi due fantastici traguardi guadagnando l'eterna gloria, oltre che l'incondizionata ammirazione degli appassionati di sport sparsi in tutto il mondo. Andiamo per gradi. Il 1979 era stato ricco di ottimi risultati e questo lasciava presagire che poteva essere l'anno buono per tentare il colpaccio: l'occasione propizia era stata individuata nelle Universiadi che si dovevano svolgere in settembre ai 2000 metri di altitudine di Città del Messico. L'aria rarefatta avrebbe sicuramente dato una grossa mano, come del resto l'aveva data al recordman in carica Tommy Smith 11 anni prima. Fu preparato tutto con cura certosina: il cibo (spaghetti con parmigiano e bistecche), la preparazione, l'ambiente esterno, ogni particolare insomma. I risultati non si fecero attendere: prima il primato europeo dei 100 m (10"01), poi un'incredibile escalation di risultati sulla doppia distanza (19"8 manuale in un test pre-giochi, 19"96, record europeo, e 20"04 nelle qualificazioni) fino al sensazionale 19"72 (guarda questa eccezionale impresa). Era il 12 settembre, ore 15.15 locali (23.15 in Italia); giornata molto calda e umida, come del resto era consuetudine nella capitale messicana, accompagnata da un vento fastidioso. Minacciava pioggia. Mennea e Vittori sapevano che era una delle ultime occasioni, se non proprio l'ultima, per battere il record ma Pietro era tranquillo: il riscaldamento pre-gara era andato benissimo, avvertiva sensazioni di corsa perfette; Vittori era certo che il suo pupillo avrebbe compiuto l'impresa. Lo Stadio Olimpico era quasi deserto; ai blocchi di partenza, con Pietro, c'erano il sovietico Bourak, il polacco Dunecki, l'africano Kablan, il danese Smedegaard, il brasiliano De Silva, lo statunitense Melvin e il britannico Bennet; niente grossi nomi, e ciò aumentava le difficoltà: senza lo stimolo di un grande rivale, Mennea aveva come avversario solo il cronometro. Andò come tutti sapete e chissà quanti immaginarono che quei fatidici 4 numeretti, 19"72, avrebbero continuato ad accompagnare le gare internazionali per ben 17 anni, fino all'avvento di Michael Johnson, l'uomo bionico. Dopo pochi giorni, tanto per non lasciare nulla d'intentato, il nostro campione trascinò i compagni della staffetta 4x100 (Lazzer, Caravani e Grazioli) al record europeo.
MOSCA '80 (campione olimpico dei 200 m)
Le olimpiadi moscovite non erano nate sotto una buona stella. Molti paesi occidentali avevano boicottato i Giochi per protestare contro l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Armata Rossa sovietica. E così gli atleti di U.S.A., Germania Ovest, Canada, Giappone ed altre nazioni importanti erano stati costretti a rimanere a casa. Anche l'Italia in un primo momento non avrebbe dovuto partecipare in quanto il governo aveva espressamente invitato il C.O.N.I. a disertare Mosca, ma il nostro massimo ente sportivo dette prova di grande e saggia autonomia organizzando lo stesso la spedizione olimpica. Il governo italiano se la legò al dito negando alla delegazione azzurra l'uso del nome Italia e del Tricolore nonché l'autorizzazione agli atleti militari di lasciare il paese: fortunatamente Mennea aveva già svolto gli obblighi di leva...! Pietro era partito per la sede delle Olimpiadi teso e preoccupato per via del clima incerto che circondava l'evento; come abbiamo più volte visto, la mancanza di serenità era sempre stata per lui molto deleteria. In effetti la prima gara, i 100 metri, non era andata per niente bene tanto che Mennea neanche si era qualificato per la finale, vinta poi dal forte scozzese Alan Wells. Ma lui aveva deciso di puntare tutte le sue chances sulla gara prediletta, i 200 metri. I turni di accesso alla finale erano filati via tranquillamente, era arrivata l'ora della resa dei conti: 28 luglio, ore 20 circa; gli avversari da tenere d'occhio erano Wells (che aveva sorpreso Mennea l'anno precedente in Coppa Europa), il giamaicano Quarrie (l'oro di Montreal) ed il cubano Leonard (autore di brillantissime prestazioni). A Mennea venne assegnata la scomodissima 8^ corsia, quella dove non si ha alcun punto di riferimento perché gli avversari sono tutti dietro; Pietro non la prese bene e ciò aumentò il suo nervosismo. Wells era dietro di lui, in 7^, Quarrie più distante, in 4^. Lo starter diede il via: lo scozzese partì come una scheggia, la sua tattica prevedeva di raggiungere e staccare immediatamente Mennea per poi resistergli fino alla fine; quest'ultimo, da parte sua, ebbe una partenza quantomeno prudente, quasi volesse farsi superare dagli altri per poterne studiare la posizione all'entrata del rettilineo. A 50 metri dal termine il barlettano era però ancora in ritardo, almeno Wells sembrava irraggiungibile: qui iniziò una delle più memorabili progressioni della storia dell'atletica moderna, scandita dall'indimenticabile telecronaca del compianto Paolo Rosi: "....recupera ....recupera ....recupera ....recupera ....recupera ....HA VINTO! ....HA VINTO! .... Pietro Mennea ha compiuto un'impresa straordinaria...." (guarda anche qui il video della vittoria più bella di Mennea). Un buono, ma non eccezionale, 20"19 fu il tempo della grande impresa, ma cosa conta il riscontro cronometrico di fronte ad una medaglia d'oro olimpica? Mennea ruppe ogni cerimoniale perchè fu l'unico vincitore a soffiarsi dalle grinfie dei severissimi addetti alla sicurezza sovietici, che avevano l'ordine tassativo di far sparire immediatamente negli spogliatoi i trionfatori delle varie gare: ed invece lui volle portare in giro per tutto lo stadio Lenin il suo famoso indice alzato verso il cielo e salutare i pochi ma suggestivi tricolori sventolanti. Prima della fine delle Olimpiadi, un'altra soddisfazione: con i compagni Malinverni, Zuliani e Bongiorni si portò a casa il bronzo della 4x400.
La carriera di Mennea non finì certo a Mosca, anche se le più grandi imprese erano state già compiute. Ma altri risultati di rilievo accompagneranno la sua lunga carriera, inframmezzata da 2 momentanei ritiri (marzo 1981-agosto 1982 e ottobre 1984-settembre 1987): il record sui 200 m a livello del mare (19"96) conquistato nella sua Barletta, l'argento (4x100) e bronzo (200 m) mondiali ad Helsinki, la 4^ finale olimpica consecutiva a Los Angeles, la 5^ olimpiade di Seul nella quale ebbe l'altissimo onore di essere il portabandiera della squadra italiana.

(Fonte: www.pietromennea.it/vittorie.asp - 30 giugno 2012)

 

Le cifre.
Tutti i numeri di una carriera ventennale.
Pietro Paolo Mennea, nato a Barletta (BA) il 28 giugno 1952. Altezza 1.80 m, peso-forma 69 kg
RECORD STABILITI
Mondiali: 2
200 m (19"72 - Mexico City, 12.09.1979)
4x200 m (1'21"5 - Barletta, 21.07.1972 con Ossola, Abeti e Benedetti)
Inoltre il record sui 200 m indoor (20"74 nel 1983)
Europei: 8
100 m (2 volte: 10"0 manuale - Milano, 16.06.1972; 10"01 - Mexico City, 04.09.1979)
200 m (3 volte: 20"2 manuale - Milano, 17.06.1972; 19"96 - Mexico City, 10.09.1979; 19"72, Mexico City, 12.09.1979)
4x100 m (1 volta: 38"42 - Mexico City, 13.09.1979 con Lazzer, Caravani e Grazioli)
4x200 m (2 volte: 1'21"5 - Barletta, 21.07.1972 con Ossola, Abeti e Benedetti; 1'21"10 - Cagliari, 13.09.1983 con Tilli, Simionato e Bongiorni)
N.B.: i record europei dei 200 m (19"72) e della 4x200 m (1'21"10) sono ancora in vigore.
Italiani: 33 (outdoor e indoor)
100 m: 9 volte; 200 m: 10 volte; 4x100 Nazionale: 9 volte; 4x100 di club: 2 volte; 4x200 Nazionale: 2 volte; 4x400 Nazionale: 1 volta.
N.B.: Sono ancora imbattuti i record dei 100 m (10"01), 200 m (19"72), 4x100 m (38"37 - Helsinki, 10.08.1983 con Tilli, Simionato e Pavoni) e 4x200 m (1'21"10).
PARTECIPAZIONI AI GRANDI EVENTI
Giochi Olimpici: 5
(record per un velocista, unito all'altro record di 4 finali consecutive nei 200 m)
1972: 200 m (3°) - 4x100 m (8°); 1976: 200 m (4°); 1980: 100 m (el. 4° di fin.) - 200 m (1°) - 4x400 (3°); 1984: 200 m (7°) - 4x100 m (4°) - 4x400 m (5°); 1988 (forfait 4° di fin.).
Mondiali: 1
1983: 200 m (3°) - 4x100 m (2°)
Europei: 4
1971: 200 m (6°) - 4x100 m (3°); 1974: 100 m (2°) - 200 m (1°) - 4x100 m (2°); 1978: 100 m (1°) - 200 m (1°) - 4x100 m (5°) - 4x400 m (7°); 1982: 4x400 m (6°).
Inoltre 4 partecipazioni ai Giochi del Mediterraneo e 3 alle Universiadi.
In totale, nella sua carriera, Mennea ha corso 528 gare (419 individuali e 109 di staffetta); conta 52 presenze con la maglia della Nazionale.
PRIMATI PERSONALI
Outdoor
100 m: 10"01
150 m: 14"8
200 m: 19"72
300 m: 32"23
400 m: 45"87
Indoor
50 y: 5"4
50 m 5"8
60 y: 6"2
60 m: 6"68
200 m: 20"74
300 m: 32"84
400 m: 46"51
LE MIGLIORI PRESTAZIONI SUI 100 m
04.09.1978 Città del Messico 10"01
04.08.1979 Torino 10"15
23.09.1979 Spalato 10"15
19.09.1979 Bologna 10"18
29.08.1978 Praga 10"19
24.06.1978 Torino 10"19
12.07.1975 Torino 10"20
18.08.1979 Lignano Sabbiadoro 10"22
20.08.1975 Zurigo 10"23
01.07.1978 Milano 10"23
tempi manuali
16.06.1972 Milano 10"0
10.09.1975 Palermo 10"0
03.06.1979 Lisbona 10"0
LE MIGLIORI PRESTAZIONI SUI 200 m:
12.09.1979 Città del Messico 19"72
10.09.1979 Città del Messico 19"96
17.08.1980 Barletta 19"96
05.08.1980 Roma 20"01
20.09.1980 Tokyo 20"03
27.09.1980 Pechino 20"03
11.09.1979 Città del Messico 20"04
22.08.1980 Bruxelles 20"05
13.09.1980 Rovereto 20"07
03.10.1984 Brindisi 20"07
tempi manuali
03.09.1979 Città del Messico 19"8
LA PROGRESSIONE SUI 100 E 200 m
1969 - 10"8
1970 - 10"5 - 21"5
1971 - 10"2 - 20"88
1972 - 10"0 - 20"30
1973 - 10"2 - 20"56
1974 - 10"29 - 20"5
1975 - 10"20 - 20"23
1976 - 10"35 - 20"23
1977 - 10"25 - 20"11
1978 - 10"19 - 20"16
1979 - 10"01 - 19"72
1980 - 10"19 - 19"96
1981
1982 - 20"68
1983 - 10"30 - 20"22
1984 - 10"28 - 20"27
1985
1986
1987 - 10"44 - 20"68
1988 - 10"01 - 20"88
Le società
Mennea ha corso dal '67 al '72 per l'Avis Barletta, nel '73 per l'Aeronautica Militare, dal '74 al '76 per l'Alco Rieti, nel '77 per la Fiat C.E. Bari, dal '78 all'80 per l'Iveco Torino. Ha lasciato l'attività agonistica dal 5 marzo '81 al 25 agosto '82.-Libero nell'83 ha poi corso per la Capannelle Roma e l'Athletic Club Bergamo nell'84. Si è nuovamente ritirato dal 4 dicembre '84 al 10 agosto '87. Ancora libero fino al definitivo ritiro datato 28 settembre 1988
Curiosità
Il record del mondo dei 200 m di Mennea ha resistito 16 anni, 9 mesi e 11 giorni (dal 12.09.79 al 23.06.96, data del 19.66 di Michael Johnson) per un totale di 6.018 giorni! In questo lasso di tempo l'atleta che più si era avvicinato al record era stato lo statunitense Mike Marsh che, nella semifinale di Barcelona '92, aveva corso in... 19"73! Come record europeo e italiano ancora da battere, il 19"72 di Mennea resiste, fino al 30.06.2012, da 11.980 giorni. Dopo Mennea nessun atleta italiano è più riuscito a qualificarsi per una finale olimpica di velocità.

(Fonte: www.pietromennea.it/cifre.asp - 30 giugno 2012)

 

Solidarietà.
Le iniziative benefiche organizzate e promosse da Pietro Mennea sono molteplici, costellano una frenetica carriera politica e professionale, rappresentando così una sorta d'impegno: quello di non trascurare situazioni e persone bisognose di solidarietà. Già coinvolto in numerosi progetti quando era ancora in attività sulle piste d'atletica e poi negli anni successivi, dal 2001 che Pietro Mennea decide di dedicarsi a tempo pieno all'organizzazione di raccolte di fondi per scopi di solidarietà. E' emblematico l'impegno messo in atto per dare un sostegno economico ai superstiti scampati nel novembre 1999, al crollo del palazzo di Viale Giotto a Foggia. La grande asta telematica con gli oggetti donati da tanti campioni dello sport (tra cui Ronaldo, Alessandro Del Piero e Valentino Rossi tanto per citarne alcuni) riesce a ricavare circa 25.000 euro. Nell'attività sociale, Pietro Mennea, riserva una corsia preferenziale per il mondo dei disabili; infatti, quando egli ricopriva la carica di deputato al Parlamento Europeo, è stato uno dei promotori dell'Anno Europeo per i Disabili (2003). Iniziative singole di raccolte di fondi proseguono incessantemente ma è nel 2006 che ha avvio una delle imprese più belle dell'Olimpionico di Mosca 1980, anche più della conquista di record e medaglie, ovvero la costituzione della Fondazione Pietro Mennea. La Onlus diventa lo strumento per raggiungere gli obiettivi previsti nel modo più efficace, ossia effettuare donazioni costanti nel tempo ed assistenza sociale ad enti caritatevoli o di ricerca medico-scientifica, associazioni culturali e sportive, attraverso progetti specifici e concreti, che avranno carattere di massima trasparenza. Lo scopo secondario della Fondazione è di carattere culturale, argomento sempre caro al campione di Barletta, e consiste nel diffondere lo sport ed i suoi valori, nonché promuovere la lotta al doping, che è diventata una triste piaga per lo sport e la nostra società. Uno dei prossimi obiettivi è trovare una sede adeguata nel territorio di Roma per la Biblioteca-Museo della Fondazione, un sogno che, se realizzato, permetterebbe a tutti di consultare gratuitamente il patrimonio librario, cartaceo e digitalizzato raccolto dall'ex recordman mondiale nel corso del suo lungo percorso di studi che l'ha portato a conseguire 5 lauree e varie specializzazioni, e la sua passione per la lettura e l'approfondimento. E' stato possibile costituire questo patrimonio librario anche grazie alle donazioni di libri fatte da molti soggetti giuridici individuali e collettivi ed attualmente è costituito da circa 100.000 volumi, in prevalenza su argomenti riguardanti lo sport, il diritto comunitario e sportivo, economia, marketing, letteratura e la storia.

(Fonte: www.pietromennea.it/solidarieta.asp - 30 giugno 2012)

 

32 anni fa la Medaglia d'Oro di Mosca.
Un'impresa che ancora oggi fa emozionare tutti gli sportivi. In concomitanza con la prima giornata ufficiale di gare alle Olimpiadi di Londra, vi è una ricorrenza da celebrare, oggi sono esattamente 32 anni dalla storica e memorabile Medaglia d'Oro di Pietro Mennea ai Giochi Olimpici di Mosca 1980. Era infatti il 28 luglio quando il fresco recordman del mondo sulla distanza, con una rimonta che ancora oggi fa emozionare, conquistò per se stesso, per l'Italia e per tutti i tifosi, una vittoria che è entrata nella memoria collettiva di tutti gli sportivi. Con il tempo di 20"19, l'atleta di Barletta salì sul gradino più alto del podio davanti al britannico Wells ed al jamaicano Quarrie. Oggi, 32 anni dopo, ricordiamo ancora quella impresa raccontata in numerosi libri, articoli di giornali e trasmissioni televisive, poichè un tale momento resta sempre attuale visto che è entrato di diritto nella storia del nostro Paese, e non solo a livello di sport.

(Fonte: www.pietromennea.it/dettaglinews.asp?idnews=5 - 28 luglio 2012)

 

Palmares.
Manifestazioni outdoor
Giochi Olimpici
1 medaglia d'oro (Mosca '80 - 200 m)
2 medaglie di bronzo (Monaco '72 - 200m / Mosca '80 - 4x400 m)
Campionati Mondiali
1 medaglia d'argento (Helsinki '83 - 4x100 m)
1 medaglia di bronzo (Helsinki '83 - 200 m)
Campionati Europei
3 medaglie d'oro (Roma '74 - 200 m / Praga '78 - 100 e 200 m)
2 medaglie d'argento (Roma '74 - 100 e 4x100 m)
1 medaglia di bronzo (Helsinki ’71 - 4x100 m)
Coppa del Mondo
1 medaglia d'argento (Dusseldorf '77 - 200 m)
Coppa Europa
3 medaglie d'oro (Nizza '75 - 200 m / Torino '79 - 100 m / Londra '83 - 4x100 m)
4 medaglie d'argento (Nizza '75 - 100 m / Helsinki '77 - 200 m / Torino '79 - 200 m / Londra '83 - 200 m)
1 medaglia di bronzo (Nizza '75 - 4x100 m)
Universiadi
5 medaglie d'oro (Mosca '73 - 200 m / Roma '75 - 100 e 200 m / Mexico City '79 - 200 e 4x100 m)
2 medaglie di bronzo (Mosca '73 - 100 e 4x100 m)
Mondiali Militari
1 medaglia d'oro ('73 - 200 m)
Giochi del Mediterraneo
7 medaglie d'oro (Smirne '71 - 200 e 4x100 m / Algeri '75 - 100 e 200 m / Spalato '79 - 100 e 4x100 m / Casablanca '83 - 4x100 m)
2 medaglie d'argento (Algeri '75 - 4x100 m / Casablanca '83 - 200 m)
Campionati Italiani
16 medaglie d'oro (100 m: '74 - '78 - '80; 200 m: '71 - '72 - '73 - '74 - '76 - '77 - '78 - '79 - '80 - '83 - '84; 4x100 m: '74 - 4x200 m: '74)
Manifestazioni indoor
Campionati Europei
1 medaglia d'oro (Milano '78 - 400 m)
Campionati Italiani
2 medaglie d'oro (60 e 400 m)

12.000 giorni da una grande impresa.
Cifra tonda da quel 12 settembre 1979, la data del Record "eterno". Son passati 12.000 giorni da quel 12 settembre 1979, allorquando Pietro Mennea realizzò una delle sue imprese più belle e memorabili, il record del mondo sui 200 metri sulla pista di Città del Messico in occasione della Finale delle Universiadi. Un record straordinario durato la bellezza di oltre 16 anni e che ancora oggi è non solo il primato italiano, ma anche quello europeo a testimonianza di un tempo che è già leggenda. Quel 19"72 entrò nel cuore di tutti gli appassionati di allora e le nuove generazioni hanno poi facilmente familiarizzato perchè questa è una delle pagine più significative dell'intera storia dello sport italiano. Appuntamento alla prossima cifra tonda, poichè questo Record non finirà mai di stupire ed emozionare.

(Fonte: www.pietromennea.it/dettaglinews.asp?idnews=6 - 20 luglio 2012)

(Postato il 29 marzo 2013)

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Vent'anni senza Arthur Ashe

"Fu proprio l'atteggiamento di mio padre a farmi capire che l'affrancamento di noi neri non era venuto con la fine della guerra di secessione, né con le leggi successive. Era in corso. La mia trisavola era stata venduta per una balla di tabacco, mio nonno era stato meno libero di mio papà, che era meno libero di me, ma non se ne lagnava. Io sarei stato il primo nero ammesso in uno sport di bianchi." (Arthur Ashe)

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La storia del più grande tennista nero di sempre, raccontata da Gianni Clerici: fu il primo a vincere uno Slam e morì di AIDS il 6 febbraio 1993.

Il 6 febbraio del 1993, esattamente vent’anni fa, morì Arthur Ashe, uno dei più grandi tennisti statunitensi e il primo nero a vincere un torneo del Grande Slam. In tutto ne vinse tre: gli US Open del 1968, gli Australian Open del 1970 e Wimbledon nel 1975. Insieme al francese Yannick Noah, Arthur Ashe è l’unico tennista nero ad aver vinto uno Slam (e vinse anche una Coppa Davis, da capitano degli Stati Uniti). Morì di AIDS a 49 anni: aveva contratto l’HIV alla fine degli anni Ottanta in una trasfusione di sangue durante un’operazione al cuore. Oggi è intitolato a lui il campo centrale degli impianti di Flushing Meadows, a New York nel Queens, dove si gioca ogni anno la finale degli US Open. Gianni Clerici, uno dei più grandi giornalisti italiani di tennis, ha ricordato su Repubblica la sua storia. È il ventesimo anniversario della morte di Arthur Ashe, tennista americano nero. Mi arrampico su uno scaffale della mia biblioteca, e comincio a cercare. Ritrovo, vergognoso per la smemoria, ben cinque libri su di lui, o di suo pugno. Levels of the Game è di John Mc Phee, uno dei maggiori romanzieri moderni americani, a proposito di un match tra due opposti simboli USA, Clark Graebner e Ashe. Dice il risvolto di copertina “Arthur pensa che Graebner, figlio di un dentista, giochi un conciso e rigido tennis repubblicano. Graebner pensa che Ashe, nato a Richmond, giochi un tennis disinvolto, dentro o fuori, liberale, democratico”. L’ultimo dei libri su, o di Ashe, è Giorni di Grazia, uscito subito dopo la sua morte, a firma comune di Arthur e Arnold Rampersad, buon giornalista. Narra la vita, e la malattia del tennista. Mi fermerei alla malattia, e cioè sull’ infezione causata da una superficialissima e infetta trasfusione del sangue di un malato di Aids. Malattia che venne annunciata sul giornale USA Today da un corazziale del tennista senza specificarne la causa. Un tipo da tabloid che, mentre lo minacciavo con l’ Olivetti Lettera 22 in pugno quale arma contundente, ebbe il coraggio di giustificarsi: «La nostra professione è di rivelare la verità sui personaggi pubblici». Quando venne contagiato nel 1988, Arthur aveva 45 anni. Arthur Robert Ashe, Jr. (Richmond, 10 luglio 1943 – New York, 6 febbraio 1993) è stato un tennista statunitense. Durante la giovane età Ashe era basso e poco coordinato. Ma da quando iniziò a frequentare la scuola si diede alla pratica di varie discipline sportive, tra le quali il tennis, la pallacanestro e il football americano. Nel tennis vinse il titolo statale, mentre nel football aiutò la sua squadra ad arrivare al titolo cittadino, giocando come Wide receiver. Ashe iniziò ad attirare l'attenzione degli appassionati di tennis dopo che vinse un premio tennistico a UCLA nel 1963; nello stesso anno divenne il primo afroamericano ad essere selezionato per giocare nella squadra statunitense in Coppa Davis. Nel 1965 Ashe vinse il titolo individuale NCAA e diede un importante contributo alla vittoria di UCLA del titolo a squadre NCAA. Con questa carriera universitaria costellata di successi, Ashe ascese facilmente ad essere considerato uno dei migliori giocatori dell'intero panorama mondiale, grazie anche al suo passaggio tra i professionisti nel 1969. A partire dal 1969 era opinione comune che Ashe fosse il miglior giocatore maschile statunitense. Egli vinse il primo Us Open dell'era open e aiutò gli Stati Uniti a vincere nello stesso anno la Coppa Davis. Dato che il tennis pro non stava ricevendo una importanza mediatica commensurabile alla crescente popolarità dello sport in generale, Ashe fu una delle figure chiave nella fondazione dell'Association of Tennis Professionals (ATP). In questo anno Ashe dovette superare un'altra prova, quando gli fu impedito dal governo di Johannesburg di giocare gli Open organizzati in Sudafrica. Ashe decise di usare questo caso internazionale per avviare una campagna di denuncia nei confronti dell'Apartheid arrivando a chiedere l'espulsione della federazione sudafricana dal circuito tennistico professionale. L'anno successivo aggiunse, nel frattempo, al suo palmares un secondo titolo del Grande Slam, l'Australian Open. Nel 1975, dopo alcuni anni di risultati di non altissimo livello, Ashe giocò la migliore stagione della sua carriera, vincendo il torneo più prestigioso del mondo, Wimbledon, sconfiggendo inaspettatamente in finale Jimmy Connors. Rimane anche attualmente il solo giocatore di colore ad aver vinto il singolare maschile a Wimbledon, all'US Open o all'Australian Open e uno dei due tennisti di colore ad aver vinto un torneo singolare maschile del Grande Slam insieme a Yannick Noah che vinse il Roland Garros nel 1983. Ashe giocò per altri anni, ma dopo essere stato colpito da un infarto nel 1979, si ritirò nel 1980. Nella sua autobiografia pubblicata nel 1979 Jack Kramer ha inserito Ashe al ventunesimo posto della classifica dei migliori tennisti di tutti i tempi. Dopo il suo ritiro Ashe assunse tanti altri compiti come scrivere per il TIME, fare il commentatore per la ABC Sport, fondare la National Junior Tennis League ed essere il capitano della squadra statunitense di Coppa Davis. Nel 1983 Ashe subì un secondo attacco di cuore. Senza la sorpresa di nessuno nel 1985 fu nominato nella Tennis Hall of Fame. La vita di Ashe subì una svolta tragica nel 1988 quando scoprì di aver contratto il virus HIV durante una trasfusione di sangue subita durante una delle due operazioni che subì al cuore. Lui e sua moglie mantennero segreta la notizia della malattia sino all'8 aprile 1992 quando USA Today riportò la notizia del suo grave stato di salute. Negli ultimi anni della sua vita Ashe prestò molta attenzione alla diffusione dell'AIDS nel mondo. Due mesi prima di morire fondò la Arthur Ashe Institute for Urban Health per aiutare le persone dotate di un'assicurazione medica insufficiente alla propria salute; questa fondazione fece sì che Ashe fosse nominato sportivo dell'anno dal magazine di Sports Illustrated. Spese anche buona parte dei suoi ultimi anni nello scrivere le sue memorie, Days of Grace, finendo il manoscritto soltanto una settimana prima della sua morte. Ashe morì per le complicazioni insorte in seguito all'AIDS il 6 febbraio 1993. A Flushing Meadows, dove si giocano gli US Open, il campo centrale è stato intitolato alla sua memoria.
MATCH POINT CON LA VITA
(di ENNIO CARETTO - 19 giugno 1993, 33 sez. CULTURA- repubblica.it)
Washington - L' autobiografia s' intitola Days of grace, giorni di grazia: Arthur Ashe la terminò sul letto di morte, ai primi dello scorso febbraio, e Arthur Rampersad, l' eminente letterato di Princeton, l'ha pubblicata questa settimana presso la casa editrice Knopf. Non è soltanto il libro di memorie dell' atleta nero più amato e rispettato della storia americana; è anche una straordinaria riflessione sul mondo dello sport, un manifesto politico, e una lezione di vita. E' il testamento di un figlio del ghetto del profondo sud diventato eroe popolare, di uno dei grandi protagonisti dell' American dream, persuaso di svolgere una funzione sociale. Ed è una ferma denuncia della "arrogante avidità" di tanti campioni, della corruzione di tanti impresari, della cieca alterazione dei valori umani e sportivi dell' America - e dell' Europa - contemporanea. Il messaggio di Arthur Ashe è lapidario: proprio perchè ha avuto tanto, l' idolo del tennis, o del baseball, della pallacanestro o del calcio deve restituire quanto più può alla comunità. Days of grace si apre con l' annuncio di Arthur Ashe, da lui dato nella primavera del ' 92, di essere ammalato di Aids: Usa Today sta per pubblicare la notizia, ed egli ritiene di doverla anticipare. E si chiude con una straziante lettera aperta alla figlia Camera di 7 anni: "lungo il cammino della vita" scrive il campione "tu cadrai, come tutti: rialzati, ferita ma più saggia, e continua... io non sarò con te quando avrai bisogno di me... ma non mi rimproverare.... ti aiuterò col mio ricordo". E tra questo inizio e questa fine, la testimonianza di un uomo che in quasi mezzo secolo - morì a 49 anni - ha cercato di condividere coi familiari, gli amici, il suo prossimo, soprattutto gli altri figli del ghetto, "i giorni di grazia", frutto del suo primato nello sport. Giorni insperati ed esaltanti, impiegati "non nella caccia immorale di un potere nudo e vendicativo", dedicati non al proprio egoismo, ma vissuti per stabilire un modello per i giovani, per lasciare un' impronta sulla società. "L' Aids" dice Arthur Ashe "non è stato il peso più assillante della mia esistenza, lo è stato la mia negritudine". E forse per questo, egli richiama al loro dovere civico, prima ancora dei bianchi, i campioni neri come lui, "Magic" Johnson, anch' egli ammalato di Aids, e Wilt Chamberlain, due eroi del basketball. Con le loro storie di conquiste sessuali - Chamberlain si vantò di essere stato a letto con 20 mila donne - "hanno danneggiato la mia razza" afferma Ashe. "I neri americani hanno combattuto per decenni la tesi razzista secondo cui siamo primitivi... E Johnson e Chamberlain, uomini con una laurea di enorme ricchezza personale noti in tutto il mondo, hanno fatto del loro meglio per confermare lo stereotipo". Ad Ashe, che difende però il suo diritto di continuare a giocare sebbene sieropositivo, Johnson risponde: "non sono orgoglioso della vita che ho condotto... ho raccontato tutto nella speranza di dissuadere i giovani da un comportamento come il mio, per prevenire l' Aids". Il libro è una carrellata sull' America della segregazione e dei diritti civili. Arthur Ashe nasce a Richmond, la capitale confederata della guerra di secessione, nella famiglia di una guardia forestale. A sei anni è orfano, a otto, dopo la scuola, aiuta il padre che per stargli vicino è divenuto custode di un parco pubblico, a dieci gioca a tennis. La disciplina di ferro inculcatagli dal genitore dà presto ottimi frutti. Il ragazzo nero vince un torneo dopo l' altro, arriva in nazionale. Il paese è in tumulto, ma egli non ha tempo per le dimostrazioni né la guerra del Vietnam, viaggia tra Parigi e Londra, è una sorta di ambasciatore delle minoranze. Nessuno ha mai visto un giovane della sua razza in questo sport di bianchi, così riservato e così ligio: Life gli dedica la copertina, lo proclama il nuovo Jesse Owens, il re nero delle Olimpiadi del ' 36 a Berlino. Gli Anni Settanta vedono il suo trionfo, conquista il titolo Usa nel ' 75, lo nominano capitano della squadra. Un grave difetto cardiaco, lo stesso che ha ucciso la madre, lo ferma nel ' 79: Arthur Ashe è costretto a ritirarsi. Ma ormai è assurto a simbolo dell' integrazione, e interpreta la sua parte con estrema dignità. Produce articoli sportivi, costruisce campi di tennis nei ghetti, insegna a giocare ai bambini neri, scrive una storia dello sport. Felicemente sposato, diventa padre nell' 86. Ha già contratto l' Aids a causa di una trasfusione di sangue infetto, ma ancora non lo sa: per sua fortuna, moglie e figlia non risulteranno sieropositive. Nell' 88, i medici compiono la tragica scoperta, e da quel momento Arthur Ashe s' investe di una triplice missione: risanare dove possibile lo sport, aiutare il ghetto, proporsi a esempio per l' America. Per la prima volta, il campione gentiluomo fa politica: accarezza l' idea di candidarsi deputato per il partito democratico, polemizza col tribuno nero Jesse Jackson che gli rimprovera un' eccessiva modestia, predica il dialogo non la rivolta contro la razza padrona. Nell' autoconfessione, Arthur Ashe tenta di spiegare il perchè di questa metamorfosi. "Fino a che punto" si chiede "ho lanciato le mie crociate contro l' apartheid per liberarmi dal rimorso di non aver partecipato al movimento di Martin Luther King? Mentre il sangue dei miei fratelli neri scorreva nelle strade di Biloxi, Memphis e Birmingham, io giocavo a tennis, vestito dell' uniforme bianca immacolata, sferrando colpi eleganti sui campi levigati della California e dell' Europa". E ancora: "io sono cresciuto in un' epoca in cui i negri non parlavano, e ho evitato per tutta la mia vita ogni scontro con la legge... ma la segregazione mi ha impresso un marchio indelebile che si cancellerà soltanto con la morte". Come in una catarsi, Arthur Ashe si fa arrestare più volte davanti alla Casa Bianca. E ai giovani atleti propone il modello di due giganti dello sport dalle mani pulite, Bill Russell, il primo nero a emergere nella pallacanestro, e Jackie Robinson, il primo a emergere nel baseball. Geloso della propria intimità, Arthur Ashe nasconde la sua mortale malattia. Uscirà allo scoperto dopo Magic Johnson, e contribuirà a segnare una svolta nella lotta contro l' aids. Il mondo resta sconvolto alla notizia della condanna dei due idoli dello sport, e i tifosi creano una fondazione a suo nome per finanziare le ricerche mediche. Sottolinea Ashe in "Days of grace": "non ho mai usato droghe, non ho mai tradito mia moglie, non ho mai avuto rapporti omosessuali... ma non sono amaro, il mio destino non mi fa paura". La sua ultima battaglia è a favore dell' istruzione sessuale nelle scuole: "non c' è spazio per il puritanesimo né la vergogna: i ragazzi sessualmente attivi o in procinto di diventarlo devono sapere a cosa vanno incontro". E il suo ultimo appello è all' onestà e all' etica, nei rapporti tra uomo e donna, nella società, nella politica. "Non mi sono mai chiesto perchè mi sia toccato l' aids" conclude Arthur Ashe "come non mi sono mai chiesto perchè mi sia toccato vincere il torneo di Wimbledon: ho pensato che fosse la volontà di Dio".
Dati biografici
Nazionalità Stati Uniti d'America
Altezza 185 cm
Peso 73 kg
Dati agonistici
Ritirato 1980
Carriera Singolare
Vittorie/sconfitte 818 – 260
Titoli vinti 33
Miglior ranking 2 (10 maggio 1976)
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australian Open V (1970)
Roland Garros QF (1970, 1971)
Wimbledon V (1975)
US Open V (1968)
Carriera Doppio
Vittorie/sconfitte 323 – 176
Titoli vinti 14
Miglior ranking 15° (30 agosto 1977)
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australian Open V (1977)
Roland Garros V (1971)
Wimbledon F (1971)
US Open F (1968)
Finali di singolare nei tornei del Grande Slam
Vittorie (3)
1968 - US Open - vince contro Tom Okker 14–12, 5–7, 6–3, 3–6, 6–3
1970 - Australian Open - vince contro Dick Crealy 6–4, 9–7, 6–2
1975 - Wimbledon - vince contro Jimmy Connors 6–1, 6–1, 5–7, 6–4
Sconfitte (4)
1966 - Australian Open - perde da Roy Emerson 6–4, 6–8, 6–2, 6–3
1967 - Australian Open - perde da Roy Emerson 6–4, 6–1, 6–4
1971 - Australian Open - perde da Ken Rosewall 6–1, 7–5, 6–3
1972 - US Open - perde da Ilie Nastase 3–6, 6–3, 6–7, 6–4, 6–3

(Fonte: http://isolafelice.forumcommunity.net/?t=53657955 - 6 febbraio 2013)

(Postato il 5 aprile 2013)

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